venerdì, Marzo 29, 2024
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Editoriale: Perché il regime iraniano ricorre a nuovi atti terroristici?

I recenti attacchi terroristici del regime iraniano a navi petroliere nel Golfo e l’attacco missilistico vicino all’ambasciata degli Stati Uniti in Iraq sono atti di pazzia da parte di un regime allo stremo mentre affronta crisi interne e isolamento internazionale. Riteniamo che il regime dei mullah affronti una crisi terminale derivante da tre fattori.

Fattore 1: Una società che sta per esplodere
40 anni di corruzione hanno praticamente distrutto l’economia dell’Iran e portato alla povertà, alla disoccupazione, all’inflazione e alla distruzione ambientale. Il vicepresidente Eshaq Jahangiri ha descritto la società iraniana come una centrale del gas pronta ad esplodere con una singola accensione. La repressione dei giovani e la discriminazione contro le donne e le minoranze etniche e religiose hanno alimentato le fiamme della ribellione e delle proteste attraverso l’Iran.
Il 20 maggio 2018, Mohsen Hashemi, capo del consiglio comunale di Teheran, ha dichiarato: “Nelle attuali circostanze, il malcontento popolare è la più grande minaccia per il nostro regime. È più pericoloso e più significativo delle minacce poste dall’estero”.

Pochi giorni fa il parlamentare Mostafa Kavakabian ha dichiarato in una seduta pubblica del ‘parlamento’: “La corruzione, la corruzione, la corruzione ha raggiunto un punto in cui la gente dice che le sanzioni hanno scarso effetto sull’economia. Questi casi di peculato, corruzione e appropriazione indebita hanno un impatto maggiore delle sanzioni” (21 maggio 2019).

Fattore 2: Una praticabile alternativa al regime
La coalizione del CNRI e la sua forza cardine, l’Organizzazione del Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI o Mujahedin-e Khalq, MEK) rappresentano una potente alternativa democratica al regime. Il MEK ha guadagnato un ampio sostegno popolare negli ultimi 40 anni, nonostante l’esecuzione di oltre 100.000 suoi attivisti, attacchi terroristici contro suoi membri e sporchi affari politici per contrastarlo.
La “guida suprema” del regime Ali Khamenei il 9 gennaio 2018 ha detto che il MEK era dietro le proteste anti-regime che hanno spazzato il Paese. Il presidente Hassan Rouhani, il 2 gennaio 2018, ha detto al presidente francese Emmanuel Macron in una telefonata che il MEK era dietro ai disordini in Iran e ha chiesto (invano) che la Francia reprimesse il gruppo, secondo l’AFP.

Il ministro dell’Intelligence Mahmoud Alavi ha dichiarato il 19 aprile 2019 che 116 squadre affiliate al MEK sono state arrestate l’anno scorso. Il direttore generale del ministero nella provincia dell’Azerbaigian orientale ha dichiarato ha dichiarato il 24 aprile 2019 che la portata del MEK era aumentata in modo significativo e che 60 attivisti del MEK erano stati recentemente arrestati nella provincia.
Le trame terroristiche fallite del regime contro il MEK in Francia, Albania e Stati Uniti nel 2018 al fine di limitare le capacità del gruppo hanno avuto importanti ripercussioni diplomatiche. Sono atti di pazzia da parte di un regime che sta affrontando la propria caduta. L’isterica campagna di demonizzazione contro il MEK mostra la paura del regime nei confronti della sua principale forza di opposizione.

Fattore 3: Fine della condiscendenza
Per quattro decenni l’Occidente ha dato il massimo aiuto al regime. Le precedenti amministrazioni degli Stati Uniti arrivarono in salvataggio del regime quando questo ne ebbe più bisogno. I mullah hanno ottenuto il massimo dalle guerre guidate dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan nel 1991, nel 2001 e nel 2003. Le due precedenti amministrazioni degli Stati Uniti hanno aperto le porte dell’Iraq al regime iraniano e gli hanno lasciato imporre il proprio dominio in Iraq e in Siria senza pagare alcun prezzo. Per anni hanno chiuso gli occhi sull’aggressione regionale del regime e sulla sua ricerca illecita di armi nucleari. L’amministrazione Clinton ha persino inserito nella ‘lista nera’ il MEK nel 1997, in quello che un alto funzionario degli Stati Uniti ha descritto come un “gesto di buona volontà” in favore di Teheran. (Nel 2012, l’amministrazione Obama è stata costretta a rimuovere dalla lista il gruppo dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti.) In poche parole, il fattore più importante che ha salvato il regime dal collasso è stata la politica di appeasement cioè di condiscendenza.

Tuttavia, l’amministrazione Trump, che punta a far cessare i programmi nucleari e missilistici e l’aggressione regionale del regime, gli ha tolto questa ancora di salvezza. Senza la politica di condiscendenza il regime non avrebbe mai potuto prendere piede in Iraq, Siria, Libano e Yemen, e avrebbe dovuto affrontare la propria fine per mano del popolo iraniano. Tutti ricordiamo che nel 2009, quando milioni di iraniani invocavano per le strade la fine del regime, il presidente degli Stati Uniti tese una mano a Khamenei. Proprio la settimana scorsa, Khamenei ha raccontato di aver ricevuto ripetute lettere di amicizia dal presidente Obama.
Questi tre fattori hanno portato una crisi mortale per il regime.

I mullah ora hanno davanti due percorsi, l’uno più pericoloso dell’altro.

Percorso 1: il regime termina le sue attività nucleari e missilistiche illegali, le sue attività belliche e terroristiche e lascia l’Iraq, la Siria, lo Yemen e il Libano. Questo percorso segnerebbe la fine del sistema di potere della “Guida Suprema”; porterebbe a grandi proteste contro il regime e al suo collasso. La dittatura religiosa è incapace di riformarsi, poiché ogni vera riforma la porterebbe a crollare. Khamenei ha detto più volte che un cambio di comportamento equivarrebbe a un cambio di regime.

Percorso 2: il regime chiude le sue fila e diventa più ostile alla comunità internazionale. Continua le proprie politiche di distruzione anche se questo conduce alla guerra. Anche questa opzione è molto fosca per il regime.
Il regime sa che entrambe le strade segnano la propria fine. La sua strategia quindi è quella di guadagnare tempo.

Sta cercando di eludere la risposta alle richieste degli Stati Uniti mantenendo un basso profilo fino a dopo le elezioni presidenziali americane del 2020. Ma sembra che anche questa strategia stia fallendo, dal momento che il regime non è in grado di sopportare le dure sanzioni per i prossimi 18 mesi, e non può garantire che il presidente degli Stati Uniti o la politica americana cambieranno alla fine del 2020. E – cosa ancora più importante – non è in grado di controllare i disordini interni e la crescita dell’opposizione.

I recenti cambiamenti nel vertice delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) e la nomina del mullah Ebrahim Raisi, un perpetratore chiave del massacro nel 1988 di 30.000 prigionieri politici, a capo del sistema giudiziario iraniano sono passi preparatori per combattere uno scenario di rovesciamento del regime. Questi vanno di pari passo con gli attacchi alle petroliere internazionali e gli attacchi con razzi contro l’ambasciata statunitense a Baghdad.

Tutti i segnali indicano che il popolo iraniano e la Resistenza sono entrati nella fase finale del conflitto con il regime dei mullah. La comunità internazionale – in particolare gli Stati Uniti e l’Unione Europea – dovrebbe adottare una politica decisa per non permettere al regime di guadagnare tempo per continuare ad uccidere iraniani e a diffondere il terrorismo e il bellicismo oltre i suoi confini.

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